Nel tratto, lungo e tormentato, che va da Vietri a Postano, pergolati di limoni colorano i Lattari, e racchiudono in una corona d’oro piccoli borghi di bianche case edificate le une sulle altre come in un lego, murature di pietra calcarea tessono incantevole dedalo che s’addossa a verdi precipizi. In quel gioco di stretti incastri i vicoli declinano il pendio in rampe, gradoni e scale, di pietra che il tempo leviga e incava. Tra quelle stradine s’arrampicava svelta la signora Rosa su una gamba e una stampella, agile come un lemure tra i rami. Il lavoro di fabbrica le aveva mozzato il passo e compensata con una piccola casa, dove in un paio di stanze tutti assieme spartivano il poco spazio e la miseria sovrabbondante negli anni del dopoguerra. Il cambio non era parso conveniente, ma esposta ad occidente c’era una piccola loggia che fronteggiava il mare, e nelle chiare mattine di primavera, quando dal largo giungono tiepide brezze e odore di salsedine, quel balcone era ingombro di panni stesi ad asciugare, e nel disporre l’ultimo bucato, la donna gettava uno sguardo speranzoso all’orizzonte, traendo auspici dal moto delle nuvole, e, nutrito il cuore d’aria di mare, gridava “Votta n’ata ora e viento e sole, votta!”1
1 “Dacci un’altra ora di vento e sole”