In punta di piedi
ritorno,
con un po' di rimorso,
a Te, Poeta.
Nel soggiorno in penombra,
dall'ampia vetrina un vecchio libro
traggo e... Leggo “I Canti”.
Lascia che io ti chiami con il tuo nome:
Giacomo.
Compagno fosti della mia fanciullezza,
fratello, amico.
Con te mi confidavo
e tu mi comprendevi
ed ogni tuo verso nel mio cuore infondeva,
malinconia pacata,
e musiche dolcissime.
Compagno fosti
dei miei anni migliori.
E sempre ricordo,
quando sul candore di quegli anni,
versai le prime lacrime
e ti parlai,
a me accostando,
la vecchia copertina di un quaderno
che ti rappresentava
e sempre, non ci fu mai una volta
che non ottenni da Te
solidarietà.
Ma, dai vent'anni in poi,
quando fui grande,
intendo dire, adulta,
intesi che la vita,
in fondo, non era così rea,
e qualche ora di felicità,
nel breve arco della vita,
non avrebbe disdegnato
concedere a noi, mortali.
E fu così, che un po' ti trascurai;
lessi altri poeti, anch'essi infelici,
ma, forse, un po' meno di Te.
Fortuna, che tra voi poeti
non esiste l'invidia.
Adesso, però ritorno a Te,
perché troppe di cose cattive
ne ho vedute, sentite
e troppe amarezze ho provato.
Con lo slancio dell'anima mia
io, ti dico: ”Giacomo avevi ragione:
l'esistenza è dolore.”