Non so come dirlo in poesia,
ma in psicologia esistono
due categorie di donne:
la donna allodola,
che ama la mattina
e quella gufo,
amante della notte.
Ma, Mariù,
non era una allodola,
nè un gufo: dell'una e dell'altro,
non amava i versi ripetitivi,
estenuanti...
Pur volendo bene a tutti gli animali.
Certamente, Mariù,
era un usignolo,
un usignolo che canta alla vita,
e innamorato della primavera.
E nel piccolo orto soleggiato,
prendeva il proprio cafè;
poi faceva un piccolo bucato,
presso l'antica fontanella:
lo distendeva sulla lavanda;
e, intanto, cantava.
Cantava sempre Mariù,
anche tra le mura di casa,
aprendo le finestre,
affinché il canto andasse lontano
e, intanto, pensava
al principe azzurro
che avrebbe incontrato,
al colpo di fulmine
per cui lo avrebbe amato,
ai figli che sarebbero nati.
Poi, un uomo cattivo
la sposò; la prese con veemenza per la mano,
e la portò a casa sua, le disse:
""Di questa casa, tu sei la regina,
prendi questa saggina e spazza il pavimento.
E non cantare sempre
perché sono geloso.""
Mariù risponde: ""Sì, mio signore.""
Un altro giorno ancora
il galantuomo le disse:
""Mariù ci son soltanto
duecento piatti perché ieri,
nello scantinato i miei amici
ed io abbiamo pranzato,
li lavi per favore?""
La sposa rispose: ""Sì mio signore.""
Intanto, non cantava più;
era stanca e pallida.
Un giorno prese le sue
poche cose, le mise in valigia
e lasciò quella casa,
adagio, in silenzio
ma qualcosa di bello,
qualcosa di prezioso
stava avvolto in uno scialle
che ella accostava al cuore:
era una bimba, ovvero
una piccola bambola.
Fu vista quell'ultima volta
al limite del sentiero:
il cancello, finalmente si apriva.
Con i capelli lunghi e gli occhi mesti
simili ad ametiste nel cielo del tramonto,
ella, ebbe la forza di sperare ancora.