(Dal libro Lolita di V. Nabokov)
Spiccava col suo giovane corpo e l'aria da bambina tra la gente ignara
quel piccolo micidiale demonietto,
inconsapevole anche lei del proprio fantastico potere.
Mi guardò col suo visino indecifrabile di ragazzina tredicenne
come se mi avesse letto il desiderio negli occhi
fino ad intuirne la profondità
e nel preciso momento in cui i nostri occhi s'incrociarono,
tra di noi si stabilì subito un'intesa
capace di annullare in quell'attimo qualunque barriera
ed io non avrei potuto abbassare gli occhi
neanche se fosse stata in gioco la mia vita.
La sfiorai ma senza osare toccarla,
respirai intensamente quella sua delicata fragranza
che sapeva di borotalco
e da quel punto così vicino eppure disperatamente lontano
ebbi per la prima volta la consapevolezza,
chiara come quella di dover morire,
di amarla più di qualsiasi cosa avessi mai visto o potuto immaginare
e di voler essere il primo ad assaporare quel piacere proibito
che soltanto la mia giovanissima dea dell'amore
avrebbe saputo offrirmi
in un paradiso illuminato dai bagliori dell'inferno.
Un uomo normale,
forse per vergogna o sensi di colpa,
scaccerebbe via dalla propria mente simili pensieri.
Bisogna essere artisti,
eterni bambini sempre in volo senza logica nè equilibrio
folli di malinconia e di disperazione
di solitudine e di tenerezza
per lasciarsi totalmente trasportare e tormentare
dalla magica ossessione per quella ninfetta.